Chi come me ha vissuto la sua infanzia negli anni ’80 ricorderà sicuramente quante cose, apparentemente assurde o per lo meno curiose, ci fossero proibite dai nostri genitori.

Non potevamo andare a giocare liberamente nei parchi pubblici, perché qualche sadico poteva aver sistemato accuratamente delle lamette sugli scivoli per ferire noi bambini.

Neanche al cinema potevamo rilassarci, poiché vi era il pericolo che qualche tossicodipendente, magari sieropositivo, avrebbe potuto infilare nella nostra poltroncina un ago di siringa infetto; era quindi d’obbligo controllare bene il sedile prima di sedersi e vedere chi fosse seduto dietro di noi. Era severamente vietato anche accettare le figurine che venivano distribuite gratuitamente, a semplice scopo promozionale, all’uscita della scuola. Avrebbero potuto contenere della droga, e saremmo potuti diventare piccoli tossicodipendenti.

Ma anche in vacanza o nei momenti di svago non potevamo abbassare la guardia. Se ad esempio stavamo tranquillamente nuotando con i nostri amici in piscina e ci scappava la pipì, bisognava stare attenti: un apposito colorante era infatti stato messo nell’acqua. Se avessimo provato a farla dentro la piscina questo avrebbe reagito colorando di rosso l’acqua intorno a noi, facendoci fare un’immane figuraccia di fronte a tutti. Se avevamo voglia di bere una fresca Coca-Cola dovevamo stare attenti a non esagerare, perché avrebbe potuto corroderci lo stomaco; d’altronde, come ben si sa, quella bevanda può corrodere addirittura un bullone! Per non parlare poi di alcuni giocattoli che, seppur belli, contenevano sostanze cancerogene, o peggio, avrebbero portato a trasformarci in terribili assassini. E mi fermo qui, senza proseguire oltre.

Tutto questo per capire sin da subito come le leggende metropolitane siano non solo un argomento che ritroviamo spesso anche inconsapevolmente nella nostra vita quotidiana, ma la loro diffusione e potenza comunicativa è tanta da plasmare e modificare i nostri comportamenti, le nostre opinioni e le nostre emozioni.

Anche gli anni ’80 citati in apertura non sono anni comuni. Fu proprio in quel periodo che in Italia si ravvisò un esplosione di questo fenomeno, in relazione soprattutto alla grande e frettolosa crescita del consumismo di massa. Allo stesso modo, nonostante negli Stati Uniti si studiasse già il fenomeno da almeno trent’anni, in Italia cominciò a diffondersi il concetto di “leggenda metropolitana”; fu così che anche nel nostro paese venne affrontato un argomento di cui prima se ne ignorava anche solo l’esistenza.

Il fatto di aver ascoltato tante storie, averle raccontate e a volte addirittura subite, è stato sicuramente un fattore determinante per far scattare in me la voglia di approfondire e studiare l’argomento. Ho iniziato ad occuparmi seriamente di leggende metropolitane dai primi anni 2000, da allora non mi sono più fermato, anche se sicuramente il concetto stesso di leggenda metropolitana è profondamente cambiato dall’avvento della digitalizzazione e dei social network.

VAI A: 03:36 Cosa sono le Leggende Metropolitane?

Nell’ambito del folklore, della tradizione, troviamo moduli espressivi di comunicazione come i soprannomi, i proverbi, le formule di saluto, le barzellette, gli aneddoti. Esistono poi forme più ampie e complesse, come le fiabe, i miti, le ballate, le leggende - in senso classico -, ma che non sempre si fondano sulla trasmissione orale. Accanto a questi elementi nel mondo moderno sono comparse nuove forme di tradizione orale, la voce, la diceria, il pettegolezzo, ma non solo.

Il primo autore ad affrontare il tema del rumor, della voce, la diceria, analizzata come fenomeno sociale fu lo psicologo William Stern, in uno scritto del 1902. Egli non prese seriamente il suo lavoro, accantonandolo di lì a poco. Qualcuno però non rimase indifferente alla sua opera, e questi fu uno dei suoi studenti, Gordon Allport, ovvero colui che insieme al collega Leo Postman, nel 1943 scrisse uno dei capisaldi sullo studio della voce, della diceria: “Psychology of rumor”. A suo modo era un libro rivoluzionario, in cui venivano presi in considerazione ed affrontati in modo scientifico dei concetti e degli elementi mai affrontati prima.

È questa la base da cui, negli anni a venire si è sempre più portato alla ribalta un fenomeno affrontato con entusiasmo da folkloristi, antropologi, psicologi, sociologi. Il fenomeno dei miti contemporanei, quelli che il folklorista Jan Harold Brunvand definirà, nel suo libro del 1981, “urban legends” (tradotto nel nostro paese come “leggende metropolitane” o “leggende urbane”).

Lui stesso le definì come dei

Racconti riconducibili alla sottoclasse delle narrazioni popolari, leggende che - a differenza delle fiabe - possono essere credute o sono credibili e che - a differenza dei miti - sono ambientate in un passato recente ed hanno come protagonisti esseri umani normali anziché antichi dei o semidei. Le leggende sono storia popolare, o quasi. Come tutti i tipi di leggende popolari le leggende urbane acquistano credibilità da particolari specifici di tempo e luogo o da riferimenti a determinate fonti.

Il concetto di “leggenda metropolitana” è stato poi ripreso ed elaborato, generando termini simili, come “leggenda contemporanea”, “miti urbani”, termini comunque tesi a formare una dicotomia tra passato e presente, tra tradizione e contemporaneità. In ambito accademico è attiva dai primi anni ’80 l’International Society for Contemporary Legend Research, formata da diversi professori e ricercatori universitari in larga parte inglesi e americani. Essa si occupa di organizzare dei congressi annuali nel corso dei quali ricercatori di tutto il mondo, appartenenti a svariate discipline, possono esporre e confrontare i risultati delle loro ricerche sull’argomento. Tutti i resoconti di ogni incontro vengono puntualmente pubblicati nella serie Perspectives on Contemporary Legend dal 1982.

VAI A: 06:48 Le leggende metropolitane in Italia

In Italia, l’interesse per le leggende metropolitane si è manifestato piuttosto tardi rispetto agli altri paesi. Verso la fine degli anni Ottanta, due riviste in particolare hanno portato le leggende all’attenzione del pubblico: Tic, edita a Milano, con una rubrica intitolata “La buca delle leggende”, e I giorni cantati, edita a Roma. Queste due prime esperienze non erano mosse da scopi scientifici ma miravano unicamente a indurre nei lettori la presa di coscienza dell’esistenza di questo tipo di fenomeno. Nel settembre del 1990, Paolo Toselli ha contribuito a fondare, ad Alessandria, il Centro sulle Voci e le Leggende Contemporanee, con lo scopo di rappresentare un punto di riferimento a livello nazionale non solo per tutti coloro che intendono studiare questo fenomeno da un punto di vista sociologico, ma anche per chi intende approfondire il legame che esse hanno con il folklore moderno.

Stiamo parlando di racconti strani e affascinanti, che giungono di continuo alle nostre orecchie, ma privi di qualsiasi verifica. Sono ritenuti da molti il corrispettivo moderno delle leggende, che, in passato, circolavano in un’area ristretta grazie alla narrazione orale, mentre oggi si nutrono e viaggiano anche sui canali dei media internazionali. Dire che queste narrazioni sono “false”, “dicerie popolari” o “notizie prive di fondamento” è semplicistico perché non coglie la “verità” delle leggende metropolitane: quella di dar corpo a timori, angosce, ossessioni collettive, tipiche del nostro tempo. La mancanza di una possibile verifica non sminuisce assolutamente il fascino che queste storie esercitano su di noi; le gustiamo in quanto tali e tendiamo ad ascoltarle come racconti degni di fiducia. La storia è vera; ha davvero avuto luogo, e da poco tempo, ed è capitata sempre a qualcun altro che è abbastanza vicino al narratore o che per lo meno è “l’amico di un amico”. Spessissimo la fonte è “mio cugino”, come ricorda un celebre brano degli Elio e le storie tese.

L’ambientazione è spesso vicina, reale, e talvolta anche conosciuta localmente proprio per altri analoghi episodi. Queste storie non hanno un testo fisso, e ogni variante contribuisce a capire meglio una determinata leggenda urbana. La maggior parte di queste sono semplicemente frutto dell’immaginazione: si trasformano mano a mano che si diffondono, ma vengono raccontate sempre come vere - secondo la classica definizione di leggenda. Scrive sempre Brunvand:

Il fenomeno delle varianti assomiglia a quel vecchio gioco di società chiamato il telefono senza fili. I giocatori stanno in cerchio e una persona bisbiglia una frase al giocatore che sta alla sua sinistra che la bisbiglia alla persona successiva, e via dicendo. Quando l’ultimo giocatore dice ad alta voce la frase che ha sentito, ci si trova spesso di fronte ad una variante che ha ben pochi elementi comuni con l’originale.

Come abbiamo detto questi racconti, a differenza delle fiabe o delle leggende nel senso classico, parlano di avvenimenti straordinari che possono essere creduti veri perché hanno un fondamento nella realtà: è questo che rende anche le leggende metropolitane un genere particolarmente ambiguo. Esse infatti si intrecciano strettamente con la cronaca, con le notizie dei mass media, con la fiction cinematografica e televisiva, e con frammenti d’una realtà che spesso riesce a superare la stessa immaginazione.

VAI A: 10:11 Perchè leggenda "metropolitana"?

Ci rimane da spiegare perché, accanto il termine “leggenda”, usiamo l’aggettivo “metropolitana” (o “urbana” o “moderna”). A ben guardare, tale definizione è impropria: queste storie non sono ambientate solo nelle metropoli, né sono diffuse solo a livello metropolitano. Anche parlare di “leggende urbane” non ci aiuta, dato che anche per questo termine possiamo fare considerazioni simili. Possiamo spiegare la scelta del termine poiché l’aggettivo “metropolitano” o comunque “urbano” rimanda ad uno stereotipo tipico della nostra cultura. Da un lato perché la “metropoli” è ciò che culturalmente ci appare come simbolo della civiltà moderna, come la più alta espressione del presente e del futuro da un punto di vista di vita sociale. D’altro canto, dato che la maggior parte delle storie ha contenuti allarmistici, terrificanti, quale posto è più significativo e più facilmente rappresentativo della metropoli? La metropoli è misteriosa; nella giungla urbana avvengono fatti altrettanto oscuri e strani.

Macabre e lugubri, divertenti e pruriginose, spesso comunque impressionanti, le leggende si diffondono passando di bocca in bocca grazie anche ai mass-media che, talvolta, scambiandole per fatti reali, le riprendono e le divulgano come vere. Le leggende contemporanee sono creazioni collettive della società, nascono dalle paure dell’uomo verso gli animali, le malattie, la morte, i diversi, e crescono sulle angosce e sui pregiudizi. Un considerevole numero di leggende tratta di gruppi sociali minoritari, ammalati di AIDS e simili, e come le barzellette, a cui sono spesso legate, diventano veicoli di discriminazioni e diffidenze pericolose. Lo studio e il controllo di questi particolari tipi di leggende è anche quindi molto importante per capire la società contemporanea. La leggenda esiste in quanto noi vi crediamo. Questa è la sua funzione. Evidenziare che i fatti narrati sono simili ad altri descritti in altri tempi e altri luoghi e dimostrare che non trovano corrispondenza nella realtà oggettiva non sempre è sufficiente a far accettare l’aspetto fantastico della leggenda. I fatti danno vita a storie e le storie si tramutano in fatti. Sicuramente le leggende e le esperienze reali appartengono a due differenti aspetti della “realtà” che convivono, influenzandosi l’un l’altro.

Il concetto di “leggenda metropolitana” è oramai divenuto di uso comune, ma allo stesso tempo generalizzante di un insieme variegato di rappresentazioni, di situazioni e di forme comunicative. Non propriamente a ragione, è divenuto quasi sinonimo di “falsità”.

VAI A: 12:47 Differenze tra leggende metropolitane e "voci"

Prima di proseguire, è necessaria una precisazione per identificare meglio il concetto di “leggenda metropolitana” distinguendola, ad esempio, dalla semplice “voce”. In questo modo approfondiremo meglio le caratteristiche di queste, ai fini di comprendere meglio i meccanismi di genesi e di diffusione. Pur rientrando entrambe nel nostro studio connotano due forme di comunicazione lievemente differenti tra loro.

Le voci sono particolari tipi di notizie che circolano nel tessuto sociale, o in alcune sue articolazioni attraverso canali di comunicazione informale e che costituiscono, per coloro che entrano in contatto con esse una indicazione per orientare i propri atteggiamenti e modellare i propri comportamenti verso gli altri. Altri con cui esiste la possibilità immediata, oppure soltanto ipotetica, di stabilire una qualche forma di interazione o di rapporto. Le voci si pongono, per gran parte, come processi e forme di comunicazione non dissimili da quelli che si articolano in ciò che abbiamo finora identificato come leggende metropolitane, tant’è che sia gli antropologi culturali che gli studiosi della comunicazione hanno usato ed usano spesso i due termini come sinonimi. Esistono, tuttavia, accanto a importanti corrispondenze, anche notevoli elementi di differenziazione.

Come le leggende metropolitane, le voci in quanto racconto, frammento di un insieme dotato di una valenza specifica, ricca di implicazioni organizzative di una realtà sociale e/o di un mondo fenomenico, si presentano come “rivelazione” di un qualcosa, si pongono sia come occasione che come strumento, utilizzabili per trovare una collocazione a nuovi eventi che irrompono nel loro orizzonte sociale e cognitivo. Le voci si differenziano dalle leggende metropolitane prima di tutto per il fatto che queste ultime sono prive di una esplicita e immediata funzione di indirizzo operativo, cosa che, invece, è una delle caratteristiche principali della voce. Questa, come la leggenda metropolitana, passa di bocca in bocca, corre sul filo delle relazioni interpersonali, animata soprattutto dal semplice desiderio di essere ascoltata e raccontata. Nelle leggende metropolitane è particolarmente forte il piacere di ascoltare e di narrare, di essere destinatari di un racconto e, successivamente, essere centri di irradiazione dello stesso. In esse è forte la componente della socialità, e in fondo anche di complicità, laddove la voglia ed il piacere di intrattenersi e di intrattenere hanno il sopravvento su altre motivazioni che inducono gli individui a raccoglierle ed a trasmetterle. La leggenda metropolitana, poi, in quanto racconto e non “rapido messaggio”, assolve meglio alla sua funzione di momento di intrattenimento se possiede tratti e accenti di godibilità narrativa. Nelle voci è la componente della solidarietà ad essere molto marcata; esse comunicano notizie che hanno valore pratico, che sono, quindi, in qualche modo, finalizzate a fornire un invito, un allarme, una sollecitazione, un aiuto, una difesa. In ragione di questo valore pratico di cui sono portatrici le voci mirano non solo e non tanto ad intrattenere, ma soprattutto, a convincere, a fare proseliti e militanti sicché possano continuare ad essere raccolte e diffuse, anche se non sono corredate da accattivanti forme e percorsi narrativi. La varietà di simili narrazioni è notevole. Oltre a episodi notevolmente strutturati e che rappresentano dei “classici” nel loro genere si ritrovano anche delle “piccole” storie, quasi degli aneddoti, che si diffondono con estrema velocità e precisione. Una deriva, particolarmente insidiosa, delle “voci” la possiamo vedere nel fenomeno della cosiddetta “fake news”.

Skip to: 16:27 Come nascono e come si diffondono?

È importante capire le dinamiche attraverso cui le leggende metropolitane nascono, e in secondo luogo come si diffondono. Non è importante che vi sia o meno un fatto vero all’origine della storia. Ciò che conta è l’analisi dei contenuti, i quali spesso nascondono una specie di “morale”, che permette di ottenere informazioni, ad esempio, sulle “paure inconsce” che la gente di un certo momento storico o di una determinata comunità vive. Per fare un esempio banale, molte leggende sui rapimenti di bambini si evolvono attribuendo il misfatto al particolare gruppo etnico che in quel momento (e in quella particolare comunità) fa più paura. In modo analogo l’analisi della diffusione di una storia permette di studiare come gruppi sociali o comunità differenti comunichino tra loro: una leggenda che, ad esempio, ha origine tra gli studenti universitari può successivamente diffondersi in ambienti completamente diversi, come quello delle casalinghe. Conoscere il “percorso” che una determinata leggenda ha seguito da una comunità all’altra può insegnare molto sui rapporti tra le due. In passato le leggende nascevano laddove regnava l’irrazionalità, e queste avevano proprio lo scopo di razionalizzare ciò che razionale non appariva, per infondere uno stato di apparente sollievo e comprensione a chi ne avesse avuto bisogno. Da questo punto di vista non è cambiato nulla, a riprova del fatto che le leggende metropolitane sono il frutto del folklore moderno. L’uomo deve sempre trovare qualcosa che spieghi fenomeni altrimenti incontrollabili; anche se le storie sono campate in aria, basta che siano sufficienti a dare corpo ai fantasmi e placare così l’ansia.

Le storie, dicevo, possono sì essere inventate, ma la paura che rivelano è vera. Prendiamo come esempio la storia delle ragazze scomparse misteriosamente nelle jeanserie, rapite e poi avviate come schiave nel Terzo mondo. È ambientata in un negozio che vende ciarpame, dove l’inconscio collettivo ritiene che una ragazza non dovrebbe andare a vestirsi. La storia è dunque un avvertimento, a salvaguardia della tradizione, è il simbolo di un tabù nei confronti di tutto ciò che disturba l’ordine costituito. Più in generale, possiamo dire che molti racconti ci turbano proprio perché parlano del diverso, l’animale esotico e feroce, lo straniero, il tossicodipendente; e proprio per questo la base narrativa e culturale da cui quasi tutte le leggende metropolitane traggono origine sono proprio gli stereotipi e i pregiudizi.