Il mondo musicale è sicuramente uno dei filoni più suggestivi del mondo delle leggende metropolitane. Ci sono tantissime storie che riguardano le più belle canzoni o i più grandi musicisti, ma c’è una storia in particolare che primeggia su tutte: la presunta morte di Paul Mc Cartney, la sua sostituzione con un sosia, e gli innumerevoli indizi lasciati nei dischi e nelle canzoni dei Beatles. Questa storia è talmente articolata e ricca di trame e sottotrame che dedicheremo uno dei prossimi episodi interamente a questa leggenda.

La presunta morte di un artista, o comunque di un personaggio molto popolare, è un tema estremamente ricorrente nella cultura popolare da sempre, soprattutto se a un periodo di particolare esposizione e popolarità segue un’assenza dalle scene silenziosa, apparentemente inspiegabile, di un personaggio magari imprevedibile e spericolato. Un celebre caso storico è quello di Mark Twain, che fu oggetto di voci simili, e che sul New York Journal del 2 giugno 1897 rispondeva ironicamente con la frase : “Le notizie sulla mia morte sono un'esagerazione.”

Spesso le presunte morti vengono legate a overdose, come nel caso del musicista Gianluca Grignani. Dopo una grande ondata di successo e popolarità ai Festival di Sanremo del 1994 e del 1995, tantissime apparizioni televisive, come a "Non è la Rai", dove crea anche un pò di scompiglio col suo atteggiamento trasgressivo, improvvisamente scompare. "Sembra che Grignani sia morto per overdose, trovato tra i vicoli di Milano", "tra i cassonetti" si inizia a dire. "E' andato in overdose, si , ma non è morto. E' in coma, e sembra che sia irreversibile". "Non è vero, solamente è andato via di testa, è scoppiato". Poi, a un certo punto, il personaggio torna sulle scene e la voce quasi sempre si volatilizza, scompare.

E’ un meccanismo quasi matematico: una grande visibilità, seguita da una completa sparizione, induce le persone a pensare che ti sia successo qualcosa, qualcosa di grave. L’assenza a volte può essere molto più potente della presenza. E’ un vuoto da riempire come vogliamo, preferibilmente con le nostre ansie e paure.

L’altra faccia della medaglia avviene quando un artista muore tragicamente in maniera completamente inaspettata. Non può essere vero, deve esserci un’altra spiegazione. Lo hanno ucciso e hanno finto un suicidio o una morte accidentale. Non può essere un caso che i grandi artisti del rock, simboli della lotta al conformismo e all’ordine costituito siano morti tutti all’età di 27 anni in circostanze misteriose: Robert Johnson, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse e molti altri forse un pò meno conosciuti. O forse sono solo strane coincidenze?

Oppure non è morto davvero. Stanco di così tanto successo ha inscenato la sua morte per ritirarsi e fare una nuova vita altrove. Anche in questo caso non mancano casi celebri. Uno dei più recenti è sicuramente legato alla prematura scomparsa di Michael Jackson nel 2009, ma la storia più conosciuta è sicuramente quella che riguarda Elvis Presley.

VAI A: 04:11 Elvis Presley è vivo!

Secondo la leggenda, ricostruita dall’amico Fabio Caironi nel suo libro “Storie Stonate”: 50 leggende metropolitane sul mondo della musica”, pubblicato nel 2009, Elvis non sarebbe morto veramente quel 17 agosto 1977. Debilitato nel fisico, Elvis Presley, avrebbe deciso di abbandonare definitivamente le scene e curarsi in pace, lontano dalle luci dei riflettori. D’accordo con le autorità, ha simulato la sua morte ed è sparito nel nulla. Dietro di sé ha lasciato però delle tracce, per tranquillizzare i suoi fans e dimostrare loro che è ancora vivo.

Ad esempio: durante un incontro, il presidente Nixon in persona ha consegnato a Elvis il distintivo dell’FBI. Questa sarebbe la prova che il cantante ha davvero collaborato con le istituzioni federali, e quando si è trovato in pericolo lo hanno aiutato a scomparire. Inoltre il colonnello Parker, il manager di Elvis, poco tempo dopo la scomparsa del cantante ha dichiarato: “Elvis non è morto. Il corpo lo è. Manteniamo alto il morale. Stiamo tenendo vivo Elvis. Ho parlato con lui questa mattina e mi ha detto di ‘andare avanti’”.Parole che si possono prestare anche ad interpretazioni letterali, oltre che metaforiche.

Sembrerebbe poi che il giorno dopo la morte di Elvis un misterioso individuo abbia viaggiato da Memphis a Buenos Aires, registrandosi come John Burrows, un nome che veniva spesso usato dallo staff di Elvis per registrare le camere d’albergo in incognito. Ci sarebbero poi delle foto del cadavere, scattate da un cugino di Elvis pagato dal National Inquirer. Secondo molti l’uomo ritratto in foto non sarebbe il Re.

Come ricorda Caironi nella sua indagine, Elvis Presley nel periodo della sua morte “era ingrassato e talvolta poco lucido: mangiava e dimenticava le parole delle sue canzoni, ma non si pensava che potesse morire a soli 42 anni. La morte per infarto fu accelerata dall’uso di un gran numero di pillole per gli svariati problemi fisici di cui soffriva e che per due volte, la prima addirittura nel 1956, lo avevano portato a un collasso. Elvis morì di cause naturali.”

"Dieci anni dopo, nel 1987, la stampa cominciò a ipotizzare che Elvis, da un momento all’altro, sarebbe riapparso per spiegare al pubblico la decisione della sua scomparsa dal mondo e per annunciare le sue intenzioni per il futuro. L'anniversario passò senza che ciò accadesse. Nacquero le voci dei primi avvistamenti, qua e là negli Stati Uniti. Esiste un sito che raccoglie scrupolosamente migliaia di avvistamenti di Elvis, uno più strano dell’altro: mentre fa la spesa nei centri commerciali, mentre guida trattori o che ripara televisori. Fu pubblicato addirittura un libro, Is Elvis Alive?, pubblicato nel 1988 da Gail Brewer-Giorgio, con inclusa una musicassetta della durata di un’ora con una presunta registrazione telefonica di Elvis agli inizi degli anni ‘80. Quest’opera, che chiaramente risultò un falso, scaternò una vera e propria ondata di avvistamenti, tanto che il 16% degli americani arrivò ad essere convinto che il Re fosse ancora vivo."

"Per quanto riguarda la storia della copertura dell’FBI - prosegue Caironi - può essere legata all’episodio - reale - che vede protagonista Richard Nixon, allora presidente degli Stati Uniti. Nixon incontrò effettivamente Presley, il quale si propose come agente segreto per smascherare le attività antiamericane nel mondo dello spettacolo, in particolare quelle dei Beatles e di altri artisti europei. Perchè si fatica ad accettarne la morte? Personaggi come Elvis sono troppo forti nell’immaginario collettivo. Non possono morire, e se proprio devono farlo non può essere nella vasca da bagno, imbottiti di farmaci e droghe. Se proprio Elvis doveva morire, che fosse almeno una morte spettacolare e misteriosa. “

VAI A: 08:30 Stairway to Heaven è un inno a Satana?

«Talvolta le parole hanno due significati», così recita un verso di quella che è forse la canzone più nota dei Led Zeppelin: “Stairway to Heaven”. Tale canzone è un continuo fiorire di dicerie, e leggende, data la sua complessità sia nella costruzione musicale che in quella del testo. La voce più persistente, è che sotto quell'immagine che richiama un ascesa al Paradiso, si nasconde in verità un vertiginoso sprofondare verso il Maligno. I Led Zeppelin, a ragione tra i Padri del Rock, non sono nuovi a dicerie e leggende, il voluto alone di mistero e magia che si sono sempre trascinati li ha resi sorta di creature metafisiche, al confine tra il bene e il male, tra il sogno e la realtà. Il loro interesse per l'occulto poi non è mai stato mascherato, basti pensare che il chitarrista Jimmy Page, oltre ad essere un seguace di Aleister Crowley, uno dei più famosi satanisti moderni, è anche proprietario di una famosa libreria londinese specializzata in testi esoterici ed occulti.

Consideriamo poi che il panorama storico-musicale dove si vanno a inserire, è un clima musicale denso di sperimentazione e di ribellione. E soprattutto, in questi anni si sperimentano per la prima volta i cosiddetti messaggi subliminali o nascosti. Essi sarebbero principalmente di tre tipi: i messaggi registrati al contrario che se ascoltati normalmente danno l'idea di rumori o farfugliamento di parole, ci sono poi i messaggi bifronti, ovvero messaggi che sia al dritto che al rovescio hanno un significato; ci sono i messaggi registrati normalmente ma rallentati o velocizzati in modo da non essere subito riconoscibili, e quelli sussurrati e sono appena percettibili. L’inserimento di messaggi nascosti non è una prerogativa, come alcuni potrebbero pensare di un particolare genere musicale, bensì è patrimonio comune dell’universo del rock, in tutte le sue più svariate sfaccettature. Diciamo anche che oramai questo pratica è stata talmente usata e abusata da tantissimi artisti, da risultare ormai, soprattutto per certi generi musicali, quasi scontata.

Tornando ai messaggi nascosti, la canzone in questione contiene diversi messaggi bifronti. Uno dei primi si trova nella seconda strofa, dove "there's a feeling I get" , se ascoltato al contrario, diventa «I've got to live for Satan» («Devo vivere per Satana»!) .

Proseguendo nella canzone, ci imbattiamo ancora in un'altro messaggio sempre di carattere satanico, ma stavolta molto più lungo. La strofa in questione: «It's just a spring clean for the May-queen\ Yes, there are two paths you can go by\ But in the long run\ There's still time to change the road you're on» . Al contrario diventa: «Here's my sweet Satan, the one whose little path, won't make me sad, whose power is Satan. He will give the growth giving you six-six-six» («Ecco il mio dolce Satana, la cui piccola via non mi renderà triste, e il cui potere è Satana. Egli darà il progresso dandoti il sei-sei-sei»).

I Led Zeppelin in ogni caso non sono estranei ai messaggi nascosti nelle loro canzoni, cito per tutte un altro messaggio bifronte che si trova nel brano “Over the hills and for away” dall’LP “The house of the holy”, nella strofa «Many is word\ That only leaves you gessing\ Gessing 'bout a thing\ You really ought to know\ You really ought to know». In essa la voce rovesciata di Robert Plant grida «We 're not really rich. It's all for Satan. Yes, Satan's really Lord. Yes, we'll always stay in him» («Noi non siamo veramente ricchi. Tutto è per Satana. Si, Satana è il vero signore. Noi resteremo sempre in lui.»).

VAI A: 12:50 Robert Jhonson e il patto col diavolo

Robert Johnson nacque nel 1911 sulle rive del Mississippi. Qui cominciò a suonare, apprendendo i primi rudimenti da due bluesmen locali, Charlie Patton e Willie Brown. Si sposò all'età di diciassette anni, ma la moglie morì di parto l'anno successivo. Dopo questo evento tragico Johnson si immerse sempre più nella musica, prendendo lezioni da un musicista arrivato a Robinsonville, Son House. Johnson non era affatto un prodigio, anzi sembra che non avesse alcuna particolare dote musicale. In seguito smise il suo lavoro di contadino e prese a girovagare. Finì a Hazelhurst, Mississippi, la sua città natale, alla ricerca del vero padre, Noah Webster. Non riuscì a rintracciarlo ma trovò, invece, il suo vero mentore, uno sconosciuto bluesman di nome Ike Zinneman. Zinneman amava raccontare che aveva imparato a suonare la chitarra di notte, al cimitero, tra le tombe, tanto che alcuni lo credevano Satana. Chiunque fosse, Zinneman fu un ottimo maestro per Johnson. Dopo un anno Robert ritornò a Robinsonville dove Son House e gli altri musicisti rimasero molto stupiti del suo grande miglioramento. Da quel momento in poi Johnson suonò continuamente per il resto della sua vita, viaggiando per il Sud e costruendosi rapidamente una solida reputazione di musicista, gran bevitore e donnaiolo. La sua vita, tormentata dalle donne, dall’alcool e dalla povertà, si spense di colpo nel 1938, all’età di 27 anni, in circostanze non troppo chiare.

Tra il 1936 e il 1937 incise circa 30 brani, molti dei quali entrati nella leggenda del Blues (I Believe I'll Dust My Broom, Sweet Home Chicago, Love in Vain, Crossroad Blues, Terraplane Blues, Hellhound on My Trail, Me and the Devil Blues), e ripresi più volte da quasi tutti i maestri del Blues odierno. Nonostante questa breve carriera a lui va il merito di avere tracciato la rotta che il blues avrebbe preso negli anni a venire, compreso ogni segmento di questo genere che andò a confluire nel rock'n'roll. Il suo stile chitarristico semplice ed evocativo fornì il perfetto complemento alla sua voce; il suo stile quasi contrappuntistico nel suonare la chitarra sviluppava delle linee melodiche dal canto, in un intreccio chiaramente polifonico.

Qualcosa però non torna.

Nessuno riusciva a spiegarsi come avesse potuto sviluppare una capacità così sorprendente in così poco tempo. E’ strano anche come un musicista così poco presente sulla scena musicale e molto spesso nell’ombra, sia riuscito ad entrare nella storia della musica Blues.
Nacque la voce che avesse fatto un patto con il Diavolo. Molti, infatti, sostengono che Johnson si rivolse alle pratiche voodoo per ottenere ciò che voleva. Grazie, quindi, agli abbondanti margini di speculazione permessi dall'oscurità che ha avvolto e avvolge la sua vita, e al soprannaturale potere della sua musica, molti si sono chiesti se Robert Johnson non avesse davvero stretto un patto con il diavolo. In effetti ci fu sempre qualcosa di insidiosamente potente e misterioso al lavoro nei fatti della sua vita. Come se non bastasse le sue canzoni non sono per niente estranee a riferimenti satanici.

VAI A: 17:49 Billy Corgan e Supervicky

È una delle voci più persistenti. Billy Corgan, leader degli Smashing Pumpkins, da piccolo interpretava il ruolo di Jamie Lawson nel telefilm Supervicky (Small Wander), telefilm in cui un pacioccoso bambino veniva sballottato dalla sua tipica famiglia americana tra una sorellina robot dotata di superforza e superintelligenza e una bambina odiosa il cui unico scopo era di rompere le scatole al personaggio di turno (il più delle volte proprio a Jamie).

Andiamo per ordine. William Patrck Corgan nasce il 17 marzo 1967 nei dintorni di Chicago e dopo un’infanzia non troppo facile, e un interesse crescente per la musica, fonda nel 1998 la famosa band con il chitarrista James Iha. Small Wonder, invece, è una serie televisiva nata dalla mente di Howard Leeds nel 1985, che durò ben quattro stagioni, ovvero fino al 1989.
Diciamo subito la verità: il personaggio di Jamie Lawson era interpretato da tale Jerry Supiran, nato il 21 Marzo 1973. Questo vuol dire che, oltre a non essere stato interpretato da Corgan, anche dal punto di vista anagrafico non ci siamo affatto. All’inizio della produzione Jerry aveva 13 anni; se Corgan avesse interpretato il personaggio di Jerry avrebbe dovuto impersonare un bambino di 13 anni all’età di 19 anni. Penso ce ne saremmo accorti.

Ma perché la voce è nata? La serie televisiva ebbe successo solo dopo il 1989 (in Italia cominciò ad essere seguita dai più verso il 1993), casualmente in concomitanza di alcuni successi discografici degli Smashing Pumpkins come “Siamese Dream” (1993) e “Mellon Collie and the Infinite Sadness” (1995).
Poiché i primi fan degli Smashing Pumpkins, da un punto di vista generazionale sono anche gli spettatori di Supervicky (io sono uno di questi e uno di quelli che ci ha creduto), sono stati loro i primi a notare una certa somiglianza, e vuoi per divertimento, vuoi per il piacere di raccontare storie, la voce è nata e si è diffusa da quella generazione a quelle successive.
In verità il visino pacioccoso di Jerry Supiran può ricordare il viso pulito di Billy Corgan. Ma tutto si risolve al limite in non più di una somiglianza, del tutto discutibile, tra l’altro.

VAI A: 20:09 La strana morte di Jim Morrison

James Douglas Morrison (1943 - 1971) cantava il male di vivere, di amore e di morte, di sesso e di follia, di droghe e di sensazioni. Fu uno dei precursori della rivoluzione culturale del 1968, simbolo di quella controcultura propria di una generazione arrabbiata e dolente, che ricercava un mondo migliore. Impersonò la sregolatezza, l'eccesso, il rock nella sua forma più trasgressiva. Il 3 luglio 1971, a soli 27 anni, Morrison si spense, generando da quel momento un'infinità di voci e false notizie circa le modalità (o la veridicità) della sua scomparsa. Le cause della sua morte sono tuttora non chiare: il suo corpo fu trovato dalla sua fidanzata, Pamela Courson, immerso nella vasca da bagno, con un rivolo di sangue che scendeva dal naso.
L'assurda fretta con la quale fu chiusa la sua morte improvvisa, fu anche la scintilla che alimentò i dubbi sulla sua reale morte. Nessuno infatti, oltre alla stessa Courson e al medico che firmò il certificato di morte riuscì a vedere la salma. Sia gli altri membri della band che il loro manager Bill Siddons poterono solamente piangere una bara sigillata.
A Parigi, nella Villa Lumiere, si era trasferito quattro mesi prima insieme alla sua ragazza. Ne aveva abbastanza dei Doors e della California, malgrado la band gli avesse dato fama e ricchezza, da anni aveva rinnegato la sua famiglia, e l'abuso di droghe e alcolici l'avevano reso ormai irriconoscibile. Voleva costruirsi una nuova vita come poeta. Oggi la sua tomba nel cimitero di Pére Lachaise è quasi un monumento nazionale e viene visitata costamente dai suoi fans (ma si dice che il corpo sia stato trasferito in realtà a Melbourne, in Florida nella tomba di famiglia).

La versione dei fatti ufficiale, secondo la deposizione di Pamela, racconta che Jim si sentisse male quella sera, lei voleva chiamare un medico ma lui si rifiutò, dicendo che avrebbe fatto un bagno caldo. Lei si addormentò e al suo risveglio, non trovando Jim accanto a lei, corse in bagno; lo trovò nella vasca e pensava stesse dormendo. Accortasi che era incosciente, presa dal panico chiamò un loro amico, il signor Ronay, il quale arrivò dopo mezz'ora e fece chiamare un ambulanza. Tutto inutile, era ormai senza vita da qualche ora.
Il Medico legale, Max Vassille, compilò uno sbrigativo referto in cui, notando l'assenza di traumi fisici e basandosi sulla testimonianza della Courson secondo cui Jim soffriva di dolori al petto ed abusava di alcolici, dichiarò la sua morte "per causa naturale". Nessun esame venne condotto sul corpo.
La cerimonia funebre fu celebrata frettolosamente il 7 luglio alle 8.30 del mattino, senza cerimoniere e senza preghiere. Solo dopo qualche settimana i custodi del cimitero apposero sulla lapide una targa con il suo nome (storpiato in Morisson).

I dubbi sulla sua morte non sono mai stati tuttavia ritenuti così importanti da indurre la magistratura ad aprire un caso sulla sua scomparsa e d'altronde l'unica testimone degli eventi, ovvero Pamela, morì nel 1974 per overdose (è risaputo che lei fosse una convinta eroinomane, nonostante Morrison fosse contrario a questa droga, prediligendo maggiormente alcolici, acidi e cocaina). Vivo o morto che sia, Jim Morrison è entrato nella leggenda, e come tale esisterà per sempre.

Quella che seguì alla morte di Morrison fu una serie interminabile di strani avvenimenti, probabili cospirazioni e notizie surreali, che trovarono ampio spazio sui giornali e nelle biografie dedicate all'artista. Il primo a scatenare questa ondata fu il giornalista Robert Hilburn con un articolo pubblicato sul "Los Angeles Times" pochi giorni dopo il decesso, intitolato "Perché le notizie sulla morte di Morrison ritardano?". In più, pochi giorni dopo fu intervistato il medico personale di Jim, il dottor Derwin, il quale dichiarò che Morrison era in eccellente stato di salute prima della sua partenza per la Francia. Tale notizia però è stata smentita da un'inchiesta della rivista francese "Mondo2000", nel 1991. Gli autori riuscirono a recuperare una cartella clinica di Jim dove risultava che, nell'autunno 1970, Morrison soffrisse da tempo di gonorrea, e veniva confermata la presenza di un adenoma dell'uretra penile, una forma maligna di cancro.
La sepoltura, avvenuta in tutta fretta e in silenzio, fece nascere seri dubbi nell'opinione pubblica sulla sua veridicità, sia perchè difficilmente personaggi stranieri venivano sepolti a Pére Lachaise, sia perchè il posto dedicato al tumulo, era, a detta anche di John Densmore, il batterista della band, troppo piccolo.

Nei primi due anni dopo la sua scomparsa, Jim Morrison, come già capito ad Elvis, fu al centro di numerosi avvistamenti, molti dei quali decisamente fantasiosi, altri forse più attendibili. Nel 1980 uscì un libro, scritto da due amici molto cari di Morrison, Jerry Hopkins e Danny Sugerman, dal titolo "Nessuno uscirà vivo di Qui" (In Italia: 1981, Gammalibri). Esso diventerà la più famosa biografia del Re Lucertola, e soprattutto la prima biografia dove verranno sollevati alcuni leciti dubbi sulla sua morte, così avvolta dal mistero. Nel giugno dell'anno seguente è il turno di un altro grande amico di Morrison, Tom Baker, che dichiarò in un articolo apparso su "High Times": "Sono molto tentato di credere alle voci che Jim abbia messo in scena la sua morte".
È risaputo, in effetti, che Jim aveva fantasticato più volte sulla possibilità di fingere la sua morte. Ne cominciò a parlare sin dal 1967, trovandola una buona trovata pubblicitaria; come se non bastasse aveva confidato proprio in quegli anni a Hopkins e Sugerman che aveva iniziato seriamente a prendere in considerazione l'ipotesi di cambiare carriera in modo radicale, riapparendo come un uomo d'affari in giacca e cravatta.