Siamo in Abruzzo, e più precisamente a Manoppello, un piccolo borgo nell’entroterra di Pescara.
Nella chiesa, ora chiamata il Santuario del Volto Santo, da più di 400 anni è venerato un velo raffigurante quella che, a parere di molti, sarebbe l’unica e vera immagine di Cristo.
Non solo, sembrerebbe anche che il velo non presenti segni di pittura o pigmenti.
Se fosse vero sarebbe effettivamente un oggetto miracoloso.
Il santuario si trova appena a sud del borgo, è stato costruito tra il 1617 e il 1638, in buona parte ristrutturato dopo l’ultima guerra. Qui siamo proprio al limite del Parco Naturale della Majella. Entrando all’interno il volto santo è subito visibile sull’altare maggiore, su un piano rialzato e all’interno di una grande e sontuosa teca. Ci si avvicina e si salgono alcuni scalini, dove è possibile ammirarlo a poca distanza. L’esperienza è sicuramente suggestiva, anche per chi, come me, non è credente.

Il Volto Santo è di fatto un velo tenue, i fili orizzontali del tessuto sono ondeggianti e di semplice struttura, l'ordito e la trama, non troppo fine e visibile ad occhio nudo, si intrecciano nella forma di una normale tessitura. Il panno è piuttosto piccolo, largo 17 cm e alto 24, Su di esso è raffigurato un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande. Sorprendentemente, l’immagine risulta visibile da entrambe le parti. Le tonalità del colore sono molto tenui, tanto che per poter vedere l’immagine è necessario non esporla a luce diretta. Gli occhi del viso raffigurato guardano molto intensamente da una parte e verso l’alto, e le pupille sono completamente aperte, anche se in modo irregolare.

Ma partiamo dall’inizio.
Da dove viene questa misteriosa reliquia e come è finita in un piccolo paese dell’entroterra abruzzese?

Seconda la tradizione, che si basa su una relazione scritta da Padre Donato da Bomba nel 1640, giunse a Manoppello in un giorno imprecisato del 1506. Il medico Giacomo Antonio Leonelli, mentre conversava con alcune persone, vide arrivare uno sconosciuto pellegrino che, rivolgendosi a lui, lo invitava a seguirlo all’interno della Chiesa. Qui gli consegnava un misterioso velo involto, con la raccomandazione di prendersi cura del misterioso oggetto, dal quale avrebbe ottenuto preziosi benefici materiali e spirituali. Mentre l’uomo incuriosito svolse il velo, scoprendone con stupore e commozione il viso di Cristo dipinto, il pellegrino scomparve, senza lasciare traccia. Il velo rimase in casa Leonelli per quasi cento anni; ma nel 1608 i diversi eredi cominciarono a contenderselo come eredità; ebbe la meglio Pancrazio Petrucci, un soldato, marito di una degli eredi, Marzia Leonelli, che irruppe con arroganza portandoselo via con la forza. La famiglia Leonelli da quel giorno cominciò ad andare in rovina. Tempo dopo Pancrazio fu arrestato ed imprigionato a Chieti, e la moglie per riscattarlo fu costretta a vendere il prezioso velo a Don Antonio De Fabritiis. Non essendo in buone condizioni, quest’ultimo pensò bene di mostrarlo ai Frati Cappuccini anche per accertarsi dell’effettivo valore, i quali, felici di essere entrati in possesso di quella reliquia prodigiosa, si preoccuparono di proteggerlo all’interno di una cornice, ancora oggi visibile. Padre Clemente, responsabile dell’intervento, avrebbe però eliminato, intorno al Volto, tutto il resto della tela che aveva la proporzione di una tovaglia, e che avrebbe potuto costituire a posteriori un indizio per stabilire la località di origine. Ad ogni modo nel 1638 De Fabritiis ne fece quindi dono ai Cappuccini, che nel 1646, dopo l’autenticazione notarile, esposero la reliquia alla pubblica venerazione.

L’istituto Luce, nel 1956, dedica un breve documentario al velo, cogliendone in particolare il grande senso di devozione da parte della comunità dei fedeli.

Agli inizi degli anni ‘80, Padre Heinrich Pfeiffer, gesuita e docente di iconologia e storia dell’arte cristiana all’Università Gregoriana di Roma, iniziò a studiare da vicino il velo di Manoppello, e in particolare lo mise in relazione con la Veronica Romana. Suor Blandina Paschalis Schlömer, vicina al gesuita, andò oltre affermando che il volto di Manoppello e quello ritratto dalla Sacra Sindone di Torino sono esattamente sovrapponibili. Secondo la suora, infatti, i due teli sarebbero stati appoggiati insieme sul volto del Cristo. Fu solo però alla fine degli anni ‘90 che i media diedero un grande risalto alla notizia, quando proprio nel 1999 la Regione Abruzzo organizzò a Roma la conferenza stampa in cui Heinrich Pfeiffer annunciava di avere scoperto la Veronica nel paese abruzzese.

Parlando di recente con Padre Carmine Cucinelli, che è stato per 16 anni Rettore del Santuario di Manoppello e custode del convento dei Cappuccini, non c’è dubbio: questo velo sarebbe una delle più importanti reliquie del cristianesimo.
Il racconto suona incredibile, ma a questo punto sono un pò confuso: il velo, la veronica, la sindone.
E’ veramente tutto così collegato?

Per fare un pò d’ordine ho chiesto al Professor Andrea Nicolotti, Professore associato di Storia del Cristianesimo e delle Chiese, Presidente del Corso di laurea in Scienze delle Religioni presso l’Università degli Studi di Torino, e autore di diversi testi e studi sulla Sindone, un suo parere e un suo punto di vista sulla vicenda.

La natura miracolosa del velo sarebbe in ogni caso confermata dal fatto che sarebbero completamente assenti segni e tracce di pittura. Ma le cose stanno proprio così?

Andiamo per ordine, seguendo lo sviluppo degli eventi ricostruito con minuzia da Gian Marco Rinaldi in un interessante articolo sulla Rivista Scienza&Paranormale nel 2007.
Il primo ad approfondire questo aspetto è stato il medico Donato Vittore, a cui fu chiesto nel 1997 dall’allora Rettore del Santuario, di fare delle fotografie a ingrandimento del velo. Secondo la sua analisi non vi erano dubbi. Non c’era nessuna traccia di colore sul tessuto. Non poteva quindi essere un dipinto. La notizia ebbe un grande impatto mediatico e fu chiaramente l’elemento che certificava la natura miracolosa della reliquia, rendendo ancora più fondata l’ipotesi di Pfeiffer.

Si aggiunse poi il professor Giulio Fanti, dell'Università di Padova, che ebbe modo di studiare il velo nel 2001. Il suo studio non venne mai pubblicato per intero, ma ne uscirono alcuni stralci all’interno di altri articoli di quegli anni. Fanti rivelò che al microscopio ottico apparivano sostanze colorate, in corrispondenza dei vari particolari anatomici. Fanti non prese mai una posizione netta, si limitò a dire che le tracce di colore trovate non erano sufficienti per dimostrare che il velo fosse il lavoro di un'artista.

Nel 2005 uscì poi un libro dedicato al Velo di Manoppello, a firma del giornalista Saverio Gaeta. L’autore, sostenitore della natura miracolosa della reliquia, cercò di dare una spiegazione ai piccoli residui individuati da Fanti suggerendo che le "tracce che sembrerebbero pigmenti o residui di bruciatura" e che si trovano unicamente in piccole aree nella zona delle pupille sarebbero dovuti a «un ritocco compiuto da qualcuno nel Medioevo per rafforzare l'intensità dello sguardo».
Nel numero di settembre 2005 della rivista Hera uscì anche un articolo dell’iconografo Roberto Falcinelli. Falcinelli aveva osservato e fotografato il Velo già due volte, nel 1999 e nel 2001. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua ricerca e la sua opinione su questa storia.

Ci si poteva aspettare che le affermazioni di Falcinelli avrebbero scatenato un forte e acceso dibattito, sulla questione, dato che questo aspetto dell’assenza di colore è un pilastro importante della popolarità della reliquia.
E invece no, la sua posizione fuori dal coro fu del tutto ignorata.

Un possibile epilogo si ebbe il 25 gennaio 2007, come ricorda Rinaldi, quando si tenne a Manoppello un convegno di studio in presenza anche della televisione nazionale tedesca, la ZDF, venuta per realizzare un documentario sul velo. In quell’occasione erano presenti quasi tutti i protagonisti fin qui citati: Pfeiffer, suor Blandina, la Vigo, Vittore, Fanti. Ci sono poi naturalmente i frati del Santuario. “Riunite tutte le persone in una sala, i frati trasportano dalla chiesa il Volto Santo che viene adagiato su un tavolo (sempre chiuso nella cornice). Fanti allestisce un apparecchiatura e riprende macrofotografie. Poi proietta le foto su uno schermo, mentre i presenti osservano con aria a volte stupita. Sulle foto si vedono fili con presenza di colorante. La conclusione, a quanto sembra, anche per gli autori del documentario, come per Fanti, è che sul Velo ci sia colore, su entrambi i lati, e non è limitato a poche zone circoscritte ma è diffuso su tutta la figura.

Il tema delle reliquie è un tema delicato, si lega a doppio filo con la spiritualità. La spiritualità è personale e soggettiva, e va rispettata sempre e comunque. Quando però si fanno affermazioni molto precise, che tirano in ballo la scienza, la storia, è importante approfondirle, verificarle, senza pregiudizi ma con l’obiettivo di conoscere la verità.

Quello che mi interessava capire era come mai, dal cuore di un piccolo paese come Manoppello, fosse nata una storia tanto grande e straordinaria.