La Rabdomanzia mi ha sempre affascinato. Per i nostri nonni, che abitavano in campagna, la figura del rabdomante era una figura comune. Si chiamava quando c’era bisogno di individuare il punto giusto per scavare un pozzo, con la stessa naturalezza con la quale si chiama il medico quando si sta male. Cos’è la rabdomanzia e quando è iniziato tutto? Come funziona questa pratica? E’ veramente così infallibile?

E’ difficile risalire all’origine antica di questa pratica, sicuramente legata ad altre forme di divinazione e di legame col divino. Il concetto stesso di “bacchetta magica”, di un bastone che guida nelle scelte il suo portatore o che diventa strumento e manifestazione del divino, si perde nella notte dei tempi. E’ un simbolismo universale, ne troviamo tracce nell’antica cina, nella cultura egizia, in quella babilonese, in quella etrusca e via via fino al medioevo.

Sappiamo che la rabdomanzia “moderna”, se possiamo chiamarla così, nasce infatti nel tardo Medioevo come strumento pratico da utilizzare, in aggiunta ad altre tecniche, per uno scopo ben preciso e definito: quello di trovare acqua o metalli nel sottosuolo. Le sue origini risalgono al 1500, tra i minatori tedeschi che unirono la forcella del rabdomante alla loro attrezzatura convenzionale. Nella seconda metà del Cinquecento alcuni minatori tedeschi si trasferirono nelle miniere della Cornovaglia portando tra i ferri del mestiere anche la bacchetta del rabdomante. Con la fine del Seicento la rabdomanzia si era ormai diffusa in tutto il resto d’Europa ed era arrivata anche nelle colonie. Ci pensò poi la Santa Inquisizione, intorno al 1700, a bandire queste pratiche, indicandole come vicine al demonio.

Il nome rabdomanzia deriva dai termini greci rhábdos (bacchetta) e mantéia (divinazione). Questo termine venne impiegato in Italia per la prima volta nei primi del 1800, dal naturalista Carlo Amoretti, che dedicò un libro a questa disciplina, mettendola anche in relazione alle prime scoperte sull’elettricità del tempo.

Il nome e l’iconografia classica del rabdomante è legato alla bacchetta di legno con la tipica forma a “Y”. Non tutte le tipologie di legno andrebbero bene, ma sarebbe preferibile usare legno di olmo o di nocciolo. Pierluigi Campidoglio, chimico e consulente, in un video per bMagazine racconta come la scelta del nocciolo sia legata anche ad aspetti magici e mitologici.
Nella realtà ogni rabdomante ha un suo set di attrezzi, con gli oggetti più disparati. Antenne, fil di ferro, pinze, elettrodi, pendoli e così via. Alcuni non usano nessuno strumento e si affidano solamente alle mani e alle loro sensazioni. Molti rabdomanti concordano infatti che il tipo di attrezzo usato non è importante, ciò che conta è la sensibilità che si acquisisce nel maneggiarlo.

Sulla rabdomanzia c’è un forte senso di pragmatismo. La si accetta perchè funziona, anche se non è chiaro come faccia a funzionare. A volta neanche il rabdomante stesso si dimostra interessato alle possibili cause. Funziona, e questo basta.

Per qualcuno è una questione puramente tecnica, e quindi alla portata di tutti, per altri invece è un dono naturale, posseduto da pochi. A volte è identificata con una sensibilità particolare alle radiazioni, ai campi elettromagnetici o a energie invisibili. Per alcuni è una disciplina quasi esoterica, per altri una scienza vera e propria.
E se vogliamo dirla tutta, la rabdomanzia, non è legata solamente alla ricerca dell’acqua. ma anche al petrolio, ai gas naturali, in generale a tutto quello quello che può trovarsi nel sottosuolo: da oggetti dimenticati fino a costruzioni e reperti archeologici. Con uno scenario così ampio e articolato diventa anche complicato approfondire e trovare risposte.

La maggior parte di chi pratica la rabdomanzia lo fa come passione personale e a titolo di amicizia, ma ci sono anche alcuni che sono riusciti a sviluppare una figura professionale. Alcuni si sono anche ricavati degli spazi importanti a livello mediatico, come Maurizio Armanetti, comparso in modo spesso roboante in numerose trasmissioni televisive e radiofoniche. Altri, come il trentino Luigi Cantonati, lo fanno in maniera decisamente più sobria, anche se tutti ci tengono molto a rimarcare come questa pratica sia per loro praticamente infallibile.

Ancora oggi la rabdomanzia è un riferimento importante per il mondo dell’agricoltura, anche per i giovani agricoltori, come il popolare youtuber Matt the Farmer, che crea contenuti su come gestire orti e coltivazioni. Anche lui indica la rabdomanzia come il metodo migliore per individuare il punto giusto dove scavare un pozzo.

Dalle parole di Matt the Farmer sembrerebbe proprio che il metodo scientifico, basato sugli studi idrogeologici, sia quello meno usato. Eppure secondo il metodo scientifico la procedura è piuttosto semplice. Esistono infatti delle carte idrogeologiche, periodicamente aggiornate negli anni, che indicano le zone in cui è più probabile trovare dell’acqua scavando. Semplificando un pò possiamo dire che le falde acquifere si formano perché l’acqua piovana imbeve il terreno verso il basso finché non trova uno strato impermeabile. Conoscendo la composizione degli strati del terreno e la loro inclinazione, diventa facile individuare i punti giusti e le profondità da raggiungere per trovarla.

Tutti riconoscono la non scientificità della rabdomanzia, eppure allo stesso tempo tutti sembrano convinti della sua efficacia. Sono tantissimi gli studi che hanno tentato di dimostrarla scientificamente. Uno degli esperimenti più conosciuti, e che viene spesso citato dagli addetti ai lavori, è quello avvenuto tra il 1987 e il 1989 a Monaco di Baviera, coordinato da Hans-Dieter Betz e addirittura finanziato dal Governo Tedesco. Questo esperimento si svolse in un granaio a due piani.
Mentre al piano di sotto dei tubi pieni d’acqua venivano spostato di volta in volta, al piano di sopra il rabdomante, che ovviamente non aveva modo di vedere dove i tubi venissero spostati, doveva individuarne la posizione. Per i loro test vennero selezionati 43 rabdomanti su 500, che eseguirono circa 900 tentativi.
Almeno 37 non mostrarono capacità di rabdomanzia, ma secondo lo studio, i 6 restanti avrebbero raggiunto sorprendentemente risultati migliori della semplice casualità.
Gli scienziati quindi conclusero che il dato fosse una dimostrazione sufficiente a dimostrare l’efficacia di questo metodo, pur limitato a pochi individui.

Qualche anno dopo, l’esito di questo esperimento fu molto criticato poiché secondo alcuni studiosi, come il Prof. Jim Enright, i risultati sarebbero coerenti con le fluttuazioni statistiche, e quindi non significativi.

Deciso ad approfondire meglio questi aspetti ho contattato il Professor Luigi Garlaschelli, chimico e ricercatore presso l'Università di Pavia. Garlaschelli si occupa da tantissimi anni di divulgazione scientifica e dello studio dei fenomeni misteriosi anche in collaborazione con il Cicap. Alla rabdomanzia ha dedicato un’ampia ricerca e un libro.

Secondo le ricerche del Prof. Garlaschelli e il CICAP la rabdomanzia sembrerebbe non funzionare, eppure la tradizione su questo tema è molto forte, e la volontà di credere in questa pratica è molto diffusa.

Forse il tema centrale della Rabdomanzia risiede proprio nella nostra innata volontà di cercare un modo per sentirci in armonia e poter risuonare con tutto il mondo naturale che ci circonda.