VAI A: 00:28 L’autostoppista fantasma
A notte inoltrata un tale stava guidando dalla cittadina di Ploesti, nel nord, verso la capitale, quando vide al margine della strada una bella ragazza che faceva l’autostop verso la sua stessa direzione. Decide quindi di darle un passaggio. La ragazza sale in macchina silenziosamente e gli da indicazioni per riportarla a casa; il tale la riporta quindi a casa e prosegue per la sua strada. La mattina dopo trova in macchina la giacca della ragazza, e siccome sarebbe dovuto passare da quelle parti, decide di riportargliela. Giunto a destinazione, suona alla porta; gli apre un’anziana signora. “Mi scusi signora – dice il tale – ho riportato a sua figlia la giacca che aveva lasciato nella mia macchina ieri sera”. “Ma…mia figlia è morta dieci anni fa!”, risponde singhiozzando la signora.
L’autostoppista fantasma è di certo la leggenda metropolitana più celebre. Esistono una infinità di varianti, anche se gli elementi-chiave rimangono sempre gli stessi. Vediamo quindi di analizzare questi ultimi. Primo di tutto notiamo che si tratta quasi sempre di fantasmi di ragazze, in genere giovani, morte a causa di un incidente stradale proprio sulla strada dove si trovano a fare l’autostop. In effetti, essendo la storia ambientata a notte fonda e, spesso, su una strada isolata, sembra difficile che una ragazza si trovi a guidare, per lo più da sola, in una situazione del genere; e ammesso che succeda, molto difficilmente acconsentirebbe a dare un passaggio ad un misterioso sconosciuto. Ecco quindi che il meccanismo funziona se al posto di guida c’è un uomo, e al posto dell’autostoppista troviamo una bella ragazza. Che paura potrebbe avere a darle un passaggio, che male potrebbe fargli?
Analizzando ancora la storia, notiamo che le autostoppiste danno sempre un indirizzo grazie al quale l’automobilista apprende in seguito che si trattava di fantasma, e viene lasciato un segno che sembra confermare ulteriormente la veridicità di quella strana esperienza: una giacca, un orecchino… Nella maggior parte delle versioni americane è la stessa autostoppista a lasciarsi dietro una giacca o una maglia che aveva chiesto in prestito all’automobilista e che viene ritrovata posata sulla sua tomba al cimitero. Altri elementi caratteristici della tradizione come la si ritrova altrove possono essere: certe affermazioni profetiche fatte talvolta dall'autostoppista, un’ulteriore identificazione della ragazza morta grazie a un ritratto o ad una foto, e il collegamento fra l’apparizione del fantasma e un determinato incidente automobilistico che in base a quanto si dice avvenne in quello stesso giorno non lontano di lì parecchi anni prima. Mito originario degli Stati Uniti o nato invece parallelamente in diversi paesi è certo comunque che lo stesso tipo di fantasma continua ad apparire un po’ in tutto il mondo. Esistono un’infinità di versioni relative a questa storia, anche perché, è bene sottolinearlo, si è passati dalla tradizione del folklore alla cultura popolare, diventando spesso un vero e proprio topos letterario. Esistono tuttavia altre versioni che differiscono in modo significativo dai racconti della tradizione popolare: in questi casi non ci sono riferimenti a profezie, ritratti, pegni, ma il tutto si limita ad un semplice racconto sull’aver dato un passaggio ad un'autostoppista che poi è scomparso misteriosamente.
Sarebbe forse superfluo, a questo punto, mettere in luce ciò che si muove dietro una leggenda del genere. È l’innata paura dell’uomo verso la morte, verso il possibile ritorno della persona morta. Non è forse per questo che sin dalla sua origine l’uomo seppellisce i suoi morti? Per la paura che essi possano tornare. È qui quindi che si basa lo sgomento che questa leggenda ci lascia, come d'altronde tutto ciò che riguarda i fantasmi in genere. Qui però non si tratta di un fantasma in genere. È il fantasma di una ragazza giovane, morta per incidente stradale, e, molto probabilmente, non per colpa sua. Ecco quindi che l’immagine della ragazza si eleva ad una accusa verso la società , una società irresponsabile che ha condotto alla morte una giovane prematuramente, negandole tutto ciò di cui avrebbe potuto godere nella sua vita. Nasce quindi nell’ascoltatore un inconscio senso di colpa da parte di tutta la società, e, indirettamente, del singolo; è qui che si fonda il coinvolgimento che suscita questa leggenda, e che non accenna a diminuire.
VAI A: 04:05 La bambina dei biscotti
Da sempre durante dei campi Scout, si sente all'interno di qualche tenda qualcuno che racconta questa storia, ovviamente giurando di averla sentita a sua volta da qualuno che conosceva benissimo i fatti e che aveva l'aveva vissuta in prima persona.
"Qualche anno fa, durante un campeggio Scout, una bambina si presentava ogni giorno presso i ragazzi. Era tutta vestita di bianco, bionda e dal sorriso angelico, e candidamente chiedeva dei biscotti da mangiare. Era ormai diventata un’amica per i giovani, che oramai la aspettavano con un malcelato sorriso derivato dall’insolita situazione. Addirittura mettevano da parte i biscotti da darle, e spesso si intrattenevano a parlare con lei, nonostante la sua timidezza la facesse apparire un po’ silenziosa. Dopo una settimana i capi scout andarono al paese più vicino per fare rifornimento di cibo. Entrarono nel supermercato, fecero spesa e al momento di pagare si accorsero che dietro al bancone era appesa la foto della bambina dei biscotti. Incuriositi chiesero al negoziante indicando la foto: “E' sua figlia? Viene sempre da noi a mangiare biscotti!”. Il negoziante diventò pallido in volto e rispose: "Non è possibile... mia figlia è morta sette anni fa!"
La leggenda prende chiaramente spunto, se non da costituire quasi una variante della più nota leggenda dell'autostoppista fantasma. Anche qui abbiamo una vittima innocente, stavolta addirittura una bambina, vestita di bianco, simbolo di purezza ma anche il colore tradizionale dei fantasmi. Anche qui la scoperta avviene per caso e soprattutto tramite una foto. Ancora i genitori ad annunciare la morte della propria figlia.
VAI A: 05:55 La brava baby-sitter
Due ragazze parlano ad alta voce sull’autobus o sulla metropolitana delle loro esperienze come baby-sitter. Si scambiano impressioni sui problemi che hanno avuto nel rapporto con i bambini e si confidano i trucchi del mestiere. Una chiede all’altra cosa fa quando i bambini piangono: “Ma come diavolo riesci a farli smettere, una volta che hanno iniziato?”. “Oh, non è un problema” risponde l’altra. “Apro il gas nel forno e tengo dentro la testa del bambino fino a quando non dorme”.
Brunvand cita versioni che risalgono addirittura agli anni Venti e al decennio successivo. La datazione più vecchia è confermata anche da una maggiore diffusione in quel periodo di forni a gas, come anche dal fatto che in alcuni casi le persone che venivano sentite mentre parlavano della cura dei bambini erano le donne di servizio di famiglie facoltose. Esiste una serie notevole di leggende metropolitane che hanno per protagoniste le baby-sitter. Da quelle che, per asciugare i pargoletti li infilano nel forno a microonde, a quelle che, rimaste sole in casa, subiscono attentati da parte di maniaci omicidi. La morale dietro a queste vicende suona come un monito per i genitori a non lasciare i bambini con persone sconosciute.
Curioso è qui analizzare come queste storie si siano diffuse nel nostro paese. In Italia, il lavoro di baby-sitter non è molto comune, poiché in genere i genitori preferiscono lasciare i propri figli nelle mani di un parente, o al massimo di un amico. Ecco quindi che la baby-sitter diventa la madre stessa del bambino. Nel caso specifico di questa leggenda, però, la leggenda si è diffusa anche mantenendo la sua ambientazione americana, importata attraverso media come il cinema.
VAI A: 00:05 La brava baby-sitter
Due ragazze parlano ad alta voce sull’autobus o sulla metropolitana delle loro esperienze come baby-sitter. Si scambiano impressioni sui problemi che hanno avuto nel rapporto con i bambini e si confidano i trucchi del mestiere. Una chiede all’altra cosa fa quando i bambini piangono: “Ma come diavolo riesci a farli smettere, una volta che hanno iniziato?”. “Oh, non è un problema” risponde l’altra. “Apro il gas nel forno e tengo dentro la testa del bambino fino a quando non dorme”.
Brunvand cita versioni che risalgono addirittura agli anni Venti e al decennio successivo. La datazione più vecchia è confermata anche da una maggiore diffusione in quel periodo di forni a gas, come anche dal fatto che in alcuni casi le persone che venivano sentite mentre parlavano della cura dei bambini erano le donne di servizio di famiglie facoltose. Esiste una serie notevole di leggende metropolitane che hanno per protagoniste le baby-sitter. Da quelle che, per asciugare i pargoletti li infilano nel forno a microonde, a quelle che, rimaste sole in casa, subiscono attentati da parte di maniaci omicidi. La morale dietro a queste vicende suona come un monito per i genitori a non lasciare i bambini con persone sconosciute. Curioso è qui analizzare come queste storie si siano diffuse nel nostro paese. In Italia, il lavoro di baby-sitter non è molto comune, poiché in genere i genitori preferiscono lasciare i propri figli nelle mani di un parente, o al massimo di un amico. Ecco quindi che la baby-sitter diventa la madre stessa del bambino. Nel caso specifico di questa leggenda, però, la leggenda si è diffusa anche mantenendo la sua ambientazione americana, importata attraverso media come il cinema.
VAI A: 07:28 Ragazze alla griglia
C’era una ragazza che, invitata per un matrimonio, voleva apparire bella abbronzata. Decide quindi di sottoporsi alla lampada abbronzante. Suo malgrado, però, l’istituto di bellezza a cui si rivolge, aveva una regola per proteggere i clienti dai rischi di un’esposizione eccessiva ai raggi della lampada: il limite massimo era di mezz’ora al giorno. La ragazza aggirò però l’ostacolo presentandosi in quattro saloni diversi e assorbendo in questo modo una dose quattro volte superiore a quella raccomandata. Il marito aveva cominciato a sentirle addosso uno strano odore, e il suo medico le diede la triste notizia: si era ustionata tutti gli organi interni.
La storia sbucò dal nulla nel corso dell’estate 1987, tant’è vero che molti credettero che si basasse su un fatto realmente accaduto. In verità si scoprì in seguito che la storia era più vecchia di quanto pensava. In base alle ricerche di J. H. Brunvand, si scoprì che l’episodio era stato pubblicato la prima volta in un articolo del luglio 1987 su un quotidiano del Midwest, il quale descriveva e confutava diverse versioni locali della storia.
La storia basa il suo successo per il suo contenuto horror e la sua funzione di ammonimento più che per qualche macabro caso clinico effettivamente avvenuto di cui i vari narratori avessero avuto esperienza di prima mano. In altre parole, la prima regola delle leggende urbane trova qui una perfetta applicazione: la verità non intralcia mai una storia efficace. Uno dei temi della leggenda deriva da una voce precedente circo l’uso domestico delle lampade abbronzanti, che riportano sempre a chiare lettere le avvertenze di sicurezza e le precauzioni da prendere. Esiste poi un legame con quelle particolari storie horror su animali o bambini cotti nel forno a microonde, che fanno parte dei tradizionali ammonimenti contro la tecnologia moderna o il cattivo uso dei prodotti. Sebbene si siano di fatto verificati incidenti con le nuove apparecchiature, queste vicende paurose che vagano nella tradizione orale sotto forme diverse quasi certamente non sono accadute. In alcune, come nella storia del salone di bellezza, si ha la sensazione che la gente confonda i raggi abbronzanti ultravioletti con le microonde usate per la cottura. Ma questa storia esprime un altro timore sempre più diffuso, basato sugli studi che dimostrano come un’abbronzatura troppo intensa aumenti le probabilità di cancro alla pelle. Quasi tutti ormai conoscono i rischi di un bagno di sole troppo lungo, ma quasi tutti continuano Imperterriti a non lasciarsi sfuggire neanche un raggio in più.
VAI A: 10:03 La mano leccata
Una bambina era solita andare a letto con il suo cane a fianco, tranquillizzata dal fatto che questo gli leccava la mano fino a farla addormentare. Una sera i genitori della bambina hanno un impegno, e non riescono a trovare una baby-sitter per prendersi cura della bimba. Questa rassicura i genitori, dicendo che per quella sera ci avrebbe pensato il suo fedele amico a proteggerla. I genitori partono così tranquilli per la serata. Giunta l’ora di andare a letto, la bambina si mette sotto le coperte, porgendo la mano verso il suo cane. E così si addormenta. Improvvisamente, nel cuore della notte si sveglia, infastidita da un gocciolio proveniente dal bagno. Impaurita porge la mano al suo cane. La bambina si sente ora più tranquilla perché sente che il suo fedele è lì con lei, che gli lecca la mano. Si addormenta di nuovo. La mattina dopo una tragica sorpresa la attendeva. Entrata in bagno vede il cane impiccato sulla doccia, che gocciola sangue. Sullo specchio una scritta terrificante: “anche gli uomini sanno leccare”.
Il messaggio di fondo della leggenda tipica riguarda più un monito verso ai genitori di vigilare sui loro figli, e non si discosta più di tanto dalle antiche tradizioni sui mostri che imperversano sul sonno dei piccoli. Un elemento da sottolineare è la figura dello specchio, che assume anche qui (come in Aids Mary) la funzione di spiegare la storia. La storia si capisce soltanto al momento della frase sullo specchio, che segna il punto di svolta e il colpo di scena finale. “La mano leccata circola da almeno quarant’anni. E le giovani donne che raccontano la storia non hanno mai bisogno di spiegare che l’assassino doveva essere nascosto sotto il letto e leccare la mano della ragazzina. Il motivo finale della scritta sul muro rende chiarissimo questo macabro particolare.
La sinistra apparizione di un messaggio scritto su una parete è del resto alla base di un antico proverbio circa qualcuno che sia in grado di “leggere la scritta sul muro”. Il proverbio naturalmente allude al brano biblico (Daniele, 5:5) nel quale, durante il festino di Belshazzar, una mano d’uomo traccia strane parole sull’intonaco del muro del palazzo reale. Quando il profeta ebreo Daniele, in cattività a Babilonia, viene interpellato per interpretare la criptica scritta, parte della sua traduzione è: “Sarai pesato su una bilancia, e il tuo peso sarà giudicato insufficiente”.
VAI A: 11:53 L’Uncino
Questa è una vecchia leggenda dell’orrore famosissima negli Stati Uniti, un po’ meno in Italia, se non grazie ad echi filoamericani.
La leggenda ha come protagonisti una coppia di giovani, appartatisi a tarda sera ,con la macchina nei pressi di un boschetto. Improvvisamente la ragazza comincia ad avvertire una strana presenza, come qualcuno che la stesse fissando. Si innervosisce e lo fa presente al ragazzo; questo non le crede, pensando che sia una scusa per tirarsi indietro alle sue avances. Ad un certo punto la radio annuncia la fuga di un pazzo criminale dalle carceri della città, una zona casualmente molto vicina alla giovane coppia. Il pazzo è caratterizzato da un uncino che ha al posto della mano destra. La ragazza grida di paura, e il ragazzo parte di scatto con l’auto. Una volta giunti in città, i due si fermano, si calmano, e quasi ridono del loro vano spavento. Il ragazzo fa per scendere dalla macchina, quando vede e sente penzolare qualcosa di strano e umido dalla maniglia dello sportello: è un uncino.
La leggenda è presa per filo e per segno dalla tradizione, e possiamo sin da subito delineare alcuni degli elementi che caratterizzano le leggende dell’orrore, e, più in particolare il film. Il primo elemento è la macchina, simbolo, soprattutto per i ragazzi, di libertà; ecco quindi che una giovane coppia sfrutta la propria libertà (ovvero l’auto) per potersi appartare. L’antitesi della città è ovviamente la natura, ed ecco quindi che i luoghi lontani, nascosti, saranno quasi sempre boschi, colline, prati e via dicendo. Ma il comportamento dei ragazzi non è corretto secondo la società. La regole della società impongono che i ragazzi devono sempre poter essere controllati dai genitori; e chi non rispetta le regole deve essere punito. I protagonisti della storia alla fine abbandonano il posto peccaminoso per ritornare alla città, dunque per ritornare a casa: è per questo che sono stati risparmiati dall’uncino. Cosa sarebbe successo se avessero deciso di rimanere? Scrivevo poco fa riguardo l’auto come simbolo. E in effetti tutta l’avventura dei quattro ragazzi ruota proprio intorno alla macchina. È per causa di questa se hanno l’incidente, è per causa di questa se si trovano in un posto desolato e misterioso, è per causa di questa se alla fine si ritrovano come fantasmi.
VAI A: 13:50 La morte del fidanzato
Una giovane coppia stava andando verso un promontorio sul mare per potersi appartare; era ormai notte fonda, quando, al momento di ripartire, la loro macchina rimane senza benzina. Il ragazzo tranquillizza la sua compagna, dicendo che andrà fuori a cercare una stazione di servizio, che ha visto a circa un miglio di distanza; le raccomanda di non uscire dalla macchina per nessun motivo; quando lui sarà di ritorno, busserà tre volte sullo sportello. Dopo circa un'ora di attesa, la ragazza comincia a sentir battere sulla macchina, e non capisce se è il suo ragazzo. Aspetta ancora e sente ancora battere, è sul punto di aprire la porta, quando sente altri battiti. Comincia ad essere sospettosa e si sentono ancora battiti e battiti. La ragazza incomincia ad agitarsi e ad essere spaventata, e si nasconde tra i sedili posteriori della macchina. I battiti continuano, e lei cerca di convincersi che sia solo un albero. Aspetta finché i battiti non cessano, e poi si addormenta. Al momento del risveglio, sentì un forte bussare sulla macchina. Aprì gli occhi e vide un poliziotto, che la invitava a scendere e a camminare in avanti senza guardarsi indietro. Inizialmente seguì le indicazioni, ma poi si voltò improvvisamente… vide il corpo del suo ragazzo che pendeva impiccato proprio sopra la macchina, e che grondava sangue provocando dei battiti sulla macchina.
Non starò ad analizzare ancora le implicazioni sociali e antropologiche dietro questa leggenda, dato la sua affinità con quella sopra riportata chiamata L’Uncino; l’unica differenza è il fatto che ora il lieto fine svanisce per lasciare spazio ad una macabra e terrificante morte.
VAI A: 15:38 La morte della compagna di stanza
Siamo in un pensionato femminile di un campus americano, dove una ragazza torna una sera molto tardi e va a letto piano senza svegliare la sua compagna di stanza. Sta attenta a non accendere la luce e si infila le cuffie del walk-man per non sentire i gemiti dell’amica, spesso intenta ad amoreggiare con qualche ragazzo. La mattina, trova l’amica uccisa e un messaggio lasciato accanto al corpo “Sei contenta di non aver acceso la luce stanotte?”.
Il particolare che si nota subito è il fatto della scritta sul muro. Ancora una volta, e mi riferisco alle leggende di Aids Mary e La mano leccata, la storia acquista senso solo alla fine, solo una volta letta la frase scritta sul muro (o sullo specchio).
VAI A: 16:25 L’assassino sul sedile posteriore
Questa è una nota leggenda urbana tipica degli Stati Uniti, chiamata solitamente “L’assassino sul sedile posteriore”. Ecco qui di seguito la versione “ufficiale” raccolta da Brunvand:
Una donna di Salt Lake stava facendo visita ad alcuni amici di Ogden. Quando si era messa alla guida della sua macchina, davanti casa degli amici, le sembrò di notare che un’altra macchina aveva iniziato a seguirla. Erano le 2.00 del mattino, e non c'erano altre macchine sulla strada. Dopo aver guidato lungo la superstrada, cominciò a pensare che quella macchina la stava proprio seguendo. La macchina la seguiva da vicino, senza mai sorpassarla, con gli abbaglianti accesi. La donna, spaventata a morte, spinse l’acceleratore e si diresse in tutta fretta verso casa. Una volta arrivata a Salt Lake, cominciò a guidare in modo spericolato ed irrazionale. Arrivata a casa, si fermò, e con lei anche l’automobilista che la seguiva, e lei cominciò a chiamare a gran voce il marito. Questo uscì in tutta fretta chiedendo cosa fosse successo. La donna, terrorizzata, disse che quell’uomo la stava seguendo da Ogden. L’uomo disse che aveva seguito la donna perché aveva notato un tipo strano nascosto nel sedile posteriore. Fu così che il marito andò a vedere nel sedile posteriore, e vide un maniaco con un coltello.
Vediamo quindi subito la somiglianza tra le due storie. Ovviamente la prima ha diversi colpi di scena, che ovviamente meglio si prestano ad una riproduzione cinematografica. La leggenda, vediamo, ha diversi punti in comune con altre leggende, di cui ormai siamo in grado di identificare gli elementi base, caratteristici dell’immaginario collettivo (in questo caso) americano. Questi sono l’auto (la ritroviamo in L’autostoppista fantasma, la morte del fidanzato), il maniaco (La mano leccata, Lo sfregiatore), il motivo dell’ambiguità, che fa in modo che il protagonista non capisca esattamente cosa gli sta succedendo, potremmo dire che scambia i buoni con i cattivi.
VAI A: 17:47 La scommessa al cimitero
Alcune ragazze erano andate a dormire in casa di un’amica durante un’assenza dei suoi genitori. Dopo avere spento le luci, cominciarono a parlare della recente sepoltura di un vecchio nel cimitero poco lontano. Si diceva che l’uomo fosse stato sepolto vivo e che qualcuno lo avesse sentito raspare nel tentativo di uscire. Una ragazza rise della storia, così le altre la sfidarono a uscire e andare sulla tomba di quell’uomo. Per provare di essere davvero andata, avrebbe dovuto piantare un paletto nella terra sopra la tomba. Mandarono così fuori l’amica e spensero le luci, aspettandosi di rivederla pochi minuti dopo. Ma trascorse un’ora e, poi un’altra, senza che ci fosse alcun segno della ragazza. Le altre restarono sveglie, sempre più terrorizzate a mano a mano che passava il tempo. Giunse il mattino, e la loro amica ancora non era tornata. Più tardi, i genitori arrivarono a casa, e tutti insieme andarono al cimitero. Trovarono la ragazza stesa sulla tomba – morta. Quando si era chinata per piantare il paletto di legno nel terreno, lo aveva inavvertitamente conficcato anche nell’orlo della sua gonna. Quando aveva cercato di rialzarsi in piedi, e non ci era riuscita, aveva pensato che il morto l’avesse afferrata – ed era morta all’istante di paura.
Variazioni sul tema di base di questa leggenda si registrano sin dal Medioevo in Europa e da lì sono migrate in gran parte del mondo. È una di quelle storie a cui nessuno crede davvero – è mai possibile che qualcuno muoia di paura? Ma la storia nonostante tutto continua a circolare. In alcune versioni, un soldato scommette che trascorrerà una notte intera al cimitero ma muore di paura dopo aver trafitto con la spada il suo lungo mantello. In altre, un ubriaco fa passare la lama del proprio coltello attraverso l’orlo del cappotto.
VAI A: 19:32 Lo Sfregiatore (e lamette sugli scivoli)
Siamo in un supermarket, due ragazze stanno chiacchierando tra loro. La prima fa “Mia cugina Dolores esce con un tipo la cui sorella è stata assalita qui, nel parcheggio. Qualcuno si è nascosto sotto la sua auto e ha aspettato che uscisse con la spesa. È successo veramente. Il ragazzo, che apparteneva a una banda o roba simile, le ha tagliato le caviglie mentre stava prendendo le chiavi; la parte più sconvolgente è che le ha preso le scarpe. È una sorta di rito di iniziazione o roba del genere, ma ci pensi?. Non si è mai al sicuro....
Ecco un classico esempio di fobia collettiva riguardo un fatto che non è mai accaduto. È solo un fatto terribile che potrebbe, in fondo, capitare a tutti noi, è per questo che fa paura. “Non è vero, ma ci credo, perché non si sa mai” è questo il meccanismo, la ragione che ci mette in guardia su un potenziale pericolo, anche se irreale. Il motivo del rasoio, mi fa ricordare una leggenda, presente anche qui in Italia, alcuni anni fa e di cui io stesso fui “vittima”.
Durante l’estate di molti anni fa, si diceva che un qualche maniaco posizionasse delle lame di rasoio sugli scivoli dei parchi cittadini, o anche negli scivoli nei parchi acquatici, per far del male ai bambini che li avessero usati.
E in effetti io, come altri bambini, fummo vittime di questa diceria, nel senso che i nostri genitori, per paura che questa storia fosse vera, nonostante non ci fosse mai stato nessun caso realmente accaduto, non ci facevano usare gli scivoli. Sono rimasto sorpreso quando ho letto, sul libro di Brunvand, che la stessa storia è conosciuta anche negli Stati Uniti, insieme ad altre storie raccolte sotto il nome I sadici di Halloween (ad esempio la leggenda che alcuni avvelenino le caramelle da dare poi ai bambini).
VAI A: 21:16 L’aiutante di Mamma
C’era quel Timmy che proprio non riusciva a non farsi la pipì addosso. Era ormai cresciutello, ma proprio non ci riusciva. La mamma le aveva provate proprio di tutte, e cominciò a cercare di impaurirlo: “La prossima volta sarà l’ultima… perché te lo taglio!”, gli diceva così la mamma. La sorellina maggiore ripeteva le parole di mamma “…te lo taglio!”. Un giorno Timmy si bagnò ancora, la mamma era fuori. Al suo ritorno trovò la sorellina con un coltello sanguinante: “Mamma, Timmy si è bagnato. Ma non preoccuparti, non succederà più, perché ho fatto come hai detto tu…. gliel’ho tagliato!”
Questa leggenda, famosa un po’ ovunque, affronta diversi temi. La crescita dei bambini, gli ammonimenti e le minacce usate dai genitori come deterrente per i piccoli, il senso di imitazione dei bambini nei confronti dei grandi. La storia si fa particolarmente realistica soprattutto per due cose: il fatto di farsi la pipì addosso, problema comunissimo in tutti i bambini di una certa età, e le bambine un po’ più grandicelle, che vogliono imitare la mamma nei gesti e negli atteggiamenti, senza veramente comprenderli. Oltre a questo il motivo horror reggente della storia è la paura innata nel maschio di essere evirato.